Il cinema teatro Ambra Jovinelli di Roma è stato nel dopoguerra e per molti anni a seguire, luogo di incontro tra la “cultura” così detta ufficiale e lo spirito popolano della capitale. Con cento lire era possibile assistere alla “Rivista” ed a due diversi film, con una sequenza ininterrotta che andava dalle 16 del pomeriggio fino all’una di notte. C’era una platea di sedie pieghevoli in vecchio velluto che accoglievano, in una densa nube di fumo, un pubblico “eterogeneo”, composto, per la maggior parte, da militari in libera uscita ed in cerca di incontri, ma anche da “intenditori” dal palato più fino.
Pandemia: intervista allo specchio
GIORNALISTA: Lei è un vecchio militante comunista, come ha vissuto questa esperienza della pandemia di coronavirus?
MILITANTE: Sono vecchio ma non tanto da aver vissuto il disastro della guerra e questa è stata la prima volta in cui quelli della mia generazione ed a maggior ragione quelli più giovani di me, hanno visto messe in discussione le certezze quotidiane a cui eravamo tutti abituati. Il diritto ad uscire di casa, di riunirsi, di incontrarsi, l’idea che se eri malato ti ricoveravano e ti curavano.