Home > Editoriali > La sciacallata

Il cinema teatro Ambra Jovinelli di Roma è stato nel dopoguerra e per molti anni a seguire, luogo di incontro tra la “cultura” così detta ufficiale e lo spirito popolano della capitale. Con cento lire era possibile assistere alla “Rivista” ed a due diversi film, con una sequenza ininterrotta che andava dalle 16 del pomeriggio fino all’una di notte. C’era una platea di sedie pieghevoli in vecchio velluto che accoglievano, in una densa nube di fumo, un pubblico “eterogeneo”, composto, per la maggior parte, da militari in libera uscita ed in cerca di incontri, ma anche da “intenditori” dal palato più fino.

Su quel palcoscenico si alternavano attori di rango che iniziavano lì la loro carriera ed irrimediabili “cani” che la cronaca avrebbe ricordato solo per i loro fragorosi fiaschi. Ballerine in calze di seta, spesso smagliate, esibivano le loro cosce non sempre affusolate in improbabili e scoordinati can can. L’ Ambra Jovinelli assegnava anche il suo premio, che non era consegnato nelle mani del più bravo, ma a chi aveva mostrato altre eccellenze. Non si trattava dell’assegnazione di un Leone o di un Orso d’oro, ma di un semplice gatto, un gatto vivo, anzi un gatto ex vivo, che, a metà dello spettacolo, era lanciato direttamente sul proscenio.

Era il rito della “gattata” assegnato dalla giuria popolare alla compagnia che aveva superato il limite di ogni decenza artistica. Oggi il Teatro, passato di mano dopo il lungo abbandono dovuto all’incendio del 1982, vive di una nuova vita più in linea con i canoni della cultura ufficiale. La “gattata” non si usa più e non solo per evidenti ragioni igienico sanitarie e per il rispetto della sensibilità animalista, ma forse soprattutto perché quel “pezzo di popolo” si è estinto, come tante altre specie, travolto dalle profonde mutazioni ambientali della nostra modernità. Oggi non vi sono altri teatri così spericolati ed “underground”. L’unica realtà a cui si può oggi pensare, per una qualche affinità al vecchio teatro Ambra Jovinelli è proprio il teatro della politica.

Un teatro dove due compagnie, entrambe scassate si contendono il proscenio, mostrando i loro improbabili numeri. In questi giorni le due compagnie mettono in scena spettacoli simili, tutti mutuati dalla drammatica realtà della pandemia e delle loro conseguenze, sperando di conquistarsi così un po’ di attenzione. Lo spettacolo è recitato a soggetto, non vi è pertanto alcuna “coerenza narrativa”. Aprire tutto, chiudere tutto, aprire questo e chiudere quello, sono gag che si alternano in funzione del momento e di un applauso di rapina. Lo fanno tentando comunque di non sbilanciarsi troppo, perché se è vero che gli spettatori hanno poca memoria, le mutazioni sono così rapide che qualcuno potrebbe anche ricordarsi che la settimana prima avevi detto il contrario.

Un minimo di serietà nell’affrontare le ragioni strutturali per cui si sta consumando una vera tragedia socioeconomica non è nel canovaccio ed allo stesso modo è stato puntualmente cassato ogni possibile riferimento alla possibilità/necessità di mutare i fondamentali della nostra economia. Alla possibilità di far rientrare lo stato e l’interesse popolare dentro l’assoluto dominio del libero mercato, per riorganizzare la società senza i drammatici stiramenti a cui verrà ulteriormente sottoposta. Si investono somme ingenti non per costruire il nuovo, ma per sostenere il vecchio e già fallito modello. Conte, Di Maio, Salvini, Meloni, Zingaretti, Renzi ballano un can can che potrebbe risultare anche peggiore di quello delle vecchie ballerine sovrappeso dell’Ambra Jovinelli. Il Berlusca a causa dell’età è stato dispensato dal can can, canta e batte solo le mani. Si alternano “tiratine” melodrammatiche sugli anziani soli, sugli “eroi” morti in corsia, sulle sofferenze dei bravi italiani, sugli scienziati in “guerra” contro il virus bastardo. Si utilizzano sofferenze vere per un teatro di bassa lega (ogni riferimento è sinceramente casuale).

Il dramma è che non c’è più il popolo di allora ad assistere a questa indecente rivista, altrimenti il premio sarebbe arrivato per entrambe le compagnie. Nel bel mezzo del proscenio sarebbe arrivato non un gatto ex vivo, ma uno sciacallo spelacchiato ed irrigidito simbolo molto più significativo del fallimento di questa classe politica. Sarebbe stata istaurata la “sciacallata” come rito liberatorio di un popolo che non ne può più.

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