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Salario minimo legale: una proposta di legge di iniziativa popolare

di Franco Guaschino e Antonello Patta

Con la proposta di legge di iniziativa popolare sul salario minimo Unione Popolare ha voluto fornire una risposta concreta all’emergenza sociale del lavoro povero diffuso in modo particolare in Italia, che ha salari tra i più bassi d’Europa. La costituzione di un ampio Comitato di sostegno alla proposta ha fornito, nei giorni scorsi, un’ulteriore spinta al successo dell’iniziativa. Volere la Luna ha già dato rilievo alla questione del salario minimo con gli articoli di Fulvio Perini (https://volerelaluna.it/lavoro/2022/08/17/il-salario-minimo-per-legge-e-i-ritardi-dellitalia/) e di Giovanni Alleva (https://volerelaluna.it/lavoro/2023/07/14/le-proposte-di-legge-sulla-giusta-retribuzione-e-il-salario-minimo/), che hanno spiegato in dettaglio le sacrosante ragioni di una siffatta misura.
Possiamo perciò dare per conosciute le motivazioni solide e con carattere di urgenza di un provvedimento come questo a contrasto della povertà lavorativa, assoluta e relativa, ulteriormente aggravata dalla pesante inflazione. Una condizione prodotta da 30 anni di politiche economiche neoliberiste tendenti soprattutto a comprimere i salari e aumentare le disuguaglianze, dalla moderazione salariale accettata in cambio di promesse di miglioramenti futuri mai arrivati e dall’incapacità, crescente negli anni, della contrattazione collettiva di tutelare il lavoro. Una condizione, quella della povertà lavorativa sollevata a livello europeo dalla Commissione UE e in Italia dalle decine di sentenze di tribunali contro forme di sfruttamento e riduzione dei salari illegali, ma anche contro aziende che erogano paghe base orarie letteralmente da fame in applicazione di contratti nazionali firmati da sindacati confederali. Sappiamo bene che oltre alle basse retribuzioni orarie esistono altre cause responsabili dei salari indegni; si va dalla precarietà estrema che produce discontinuità lavorativa, al part time involontario, fino alle mille irregolarità del lavoro grigio dove ore e paghe dichiarate non corrispondono mai al lavoro svolto e a quanto effettivamente versato al lavoratore.

La Sinistra prende l’iniziativa
Unione Popolare, il nuovo “spazio politico” della Sinistra, ha ritenuto importante aggredire la questione con una proposta di legge di iniziativa popolare per il salario minimo, ritenendolo un nodo centrale, anche nell’intento di sollevare l’attenzione e costruire una mobilitazione non solo su questo, ma su tutti i temi dei quali i bassi salari sono la risultante. Una scelta confortata dalle molte indagini che indicano i bassi salari come la principale causa del malessere sociale diffuso, specie tra i giovani. Non a caso, un recente sondaggio indica nel 64% gli italiani favorevoli all’introduzione di un salario minimo. La scelta di raccogliere le firme, da un lato, è quella obbligata per una forza politica che non è presente in Parlamento, ma dall’altro ha il vantaggio di costruire una presenza visibile nei luoghi pubblici, dove si dialoga con le persone e si raccolgono in modo diretto i sentimenti di indignazione per una situazione non più sopportabile sul piano delle diseguaglianze e della precarietà. I risultati positivi si incominciano a vedere con molte firme raccolte dopo meno di un mese dal lancio dell’attività e con partecipazione e dimostrazioni di interesse del tutto confortanti, pur avendo ancora quasi quattro mesi di tempo prima del termine della raccolta. Il Comitato di sostegno alla proposta di legge, presentato il 20 luglio in piazza Montecitorio, è promosso da personalità della politica, del mondo sindacale, della cultura, da economisti e giuslavoristi, tra i quali Emiliano Brancaccio, Tomaso Montanari, Moni Ovadia e molti altri. Partecipano inoltre i sindacati di base (Usb, Sgb, Cub), l’area Cgil Radici del Sindacato e altri partiti della sinistra (Pci e Sinistra Anticapitalista).

I punti chiave della proposta
Differenziandosi da quelle del centro-sinistra, la proposta di Unione Popolare è chiara e netta fin dal primo articolo: «Ogni lavoratore di cui all’art. 2094 codice civile, visto l’art. 36, comma 1, della Costituzione ha diritto, con riferimento alla paga base oraria, a un trattamento economico minimo orario non inferiore a 10 euro lordi l’ora». Significa che ogni lavoratore, dovunque lavori e qualsiasi mansione svolga, non può ricevere nel livello di inquadramento più basso meno di 10 euro al lordo dei contributi e delle tasse che deve pagare. Ciò vuol dire una retribuzione lorda mensile di 1730 euro per 173 ore lavorative e un netto di circa 1350 euro. Nel definire la cifra si è ritenuta irricevibile l’indicazione proveniente da più parti, compresa la direttiva europea, per un salario minimo corrispondente al 60% della mediana delle retribuzioni, che avrebbe comportato una paga oraria tra i sei e sette euro e un mensile netto tra 850 e 950 euro, pari o prossimi alla soglia di povertà relativa per un lavoratore singolo. Una soglia che, come si diceva, andrebbe rivista alla luce dell’inflazione a due cifre e che cresce di almeno il 50% nel caso di lavoratori con un familiare a carico, condizione attualissima vista l’esplosione del fenomeno delle famiglie monoparentali, la maggior parte delle quali hanno una donna come capofamiglia. Proprio per il ruolo svolto dall’inflazione nel ridurre progressivamente i salari reali dopo l’abolizione della scala mobile, la proposta di legge, diversamente da quella del centrosinistra prevede nel secondo articolo un meccanismo automatico di adeguamento pieno all’inflazione: «Con decreto del Ministero del Lavoro, il minimo salariale si rivalorizza alla data del 1° gennaio e del 1° luglio di ogni anno sulla base dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea (IPCA)».
Oltre alla previsione di un articolato sistema di sanzioni crescenti da applicare nei casi di inadempienza, è importante sottolineare altri tre contenuti della proposta di legge. Il primo riguarda la prescrizione che oltre alla paga base il lavoratore «ha diritto al pagamento della tredicesima mensilità, delle retribuzioni differite, delle ore di lavoro straordinario, degli scatti di anzianità e di tutte le altre competenze previste dai CCNL di settore»; il secondo è l’obbligo della “applicazione al lavoratore/lavoratrice dei contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali che prevedono un trattamento economico minimo orario superiore all’importo del trattamento economico minimo legale». Infine, con l’articolo 3, si estende la disciplina della legge al lavoro non subordinato, sia quando organizzato direttamente dal committente, sia quando ciò è fatto attraverso piattaforme digitali. Stimiamo in cinque milioni le lavoratrici e i lavoratori che avrebbero miglioramenti di stipendio, non solo dunque quelli che hanno paghe da fame, ma moltissimi collocati a vari livelli di inquadramento previsti dai contratti nazionali.
Un’altra differenza importante distingue la proposta di legge di Unione Popolare da quelle del centro-sinistra, che prevedono un sostegno temporaneo alle imprese che dovranno riconoscere aumenti delle remunerazioni ai propri dipendenti. Si tratta di un compromesso inaccettabile, che tende a ribaltare sulla fiscalità pubblica dei costi pienamente sopportabili dalle imprese, in particolare tenendo conto del modesto impatto del costo del lavoro sui prezzi finali dei prodotti. È la solita posizione di subordinazione agli intoccabili “interessi del mercato”, già vista all’opera in occasione dei rincari ingiustificati delle forniture energetiche, compensati con sostegni a carico dello Stato: i privati speculano e tutti noi paghiamo.

Da lavoro che divide, al lavoro che unisce
Non condividiamo l’idea che il salario minimo legale indebolirebbe la contrattazione. Al contrario, come dimostra l’esempio tedesco, la rafforzerebbe spingendo verso l’alto tutti i livelli d’inquadramento. La proposta di salario minimo a 10 euro lordi non è in contraddizione con la prosecuzione della lotta per l’introduzione di un vero reddito di cittadinanza, ritenendo anzi importante che le due battaglie procedano insieme per contrastare sfruttamento e ricattabilità del lavoro. Unione Popolare esprime la piena condivisione di quanto affermato dalla direttiva europea laddove ricorda come una legge sul salario minimo ridurrebbe le disuguaglianze, contrasterebbe le disparità di genere a causa della prevalenza femminile nelle fasce salariali più basse, porterebbe un beneficio all’economia sostenendo i consumi, contrasterebbe un modello economico e produttivo fondato su bassi salari, spingendo le imprese a investire in innovazione e ricerca. In particolare, in Italia, la battaglia per il salario minimo legale ha un forte valore politico, per contrastare la perversa tattica della destra, che, con una sequenza di provvedimenti, tende a isolare le varie categorie di lavoratori e lavoratrici (o aspiranti tali), mettendoli gli uni contro gli altri: garantiti contro precari, dipendenti contro autonomi, italiani contro stranieri, uomini contro donne e, in generale, occupati contro disoccupati.

Anche il centro-sinistra in piazza?
Reagendo all’emendamento soppressivo dei partiti al governo, i proponenti delle leggi per il salario minimo di 9 euro lordi, che sono state al momento respinte, sembrano intenzionati a promuovere una propria raccolta firme per una seconda legge di iniziativa popolare, che potrebbe essere avviata all’inizio dell’autunno. È infatti probabile che, in questo caso, la discussione in Parlamento non possa essere impedita. Naturalmente non ci si può opporre a questa eventualità, ma dobbiamo lavorare perché si possa attivare un confronto aperto, anziché una misera guerra di posizione, dannosa per gli interessi dei lavoratori. Le forze sindacali e i rappresentanti di tante categorie senza voce in capitolo dovranno avere occasione di esprimersi e, finalmente, di intervenire concretamente a contrastare diseguaglianze e condizioni di povertà non più accettabili.

da www.volerelaluna.it

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