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Riaprire le scuole (secondarie di secondo grado/superiori, ché le scuole primarie/elementari e secondarie di primo grado/medie erano già aperte da prima delle feste natalizie) è un obiettivo che il governo persegue con determinazione, avendone fatto una bandiera mentre però i provvedimenti intrapresi nei mesi estivi hanno portato in poche settimane alla chiusura di milioni di studenti e studentesse.

Alle responsabilità del governo centrale (mancata assunzione di un numero adeguato di personale docente e non docente, mancata ridimensionamento del numero di alunni per classe, mancato blocco degli accorpamenti di classi, mancato piano di potenziamento eccezionale dei trasporti urbani ed extraurbani dedicati alla popolazione scolastica) si sono aggiunte le inadempienze di Regioni ed enti locali, che sono stati incapaci di ridefinire un piano dei trasporti locali che potesse evitare sovraffollamento e assembramenti nelle ore di punta delle entrate a scuola, come anche di impostare un potenziamento dei Dipartimenti di medicina territoriale per fronteggiare le esigenze di monitoraggio, tracciamento e screening necessitate dalla mobilità di centinaia di migliaia di studenti in ogni territorio. Senza parlare delle promesse di Rossi – e poi di Giani – di mettere a disposizione medici e personale sanitario (con contratti a termine e impostati alla totale precarietà) per screening e tamponi rapidi, di cui ancora non si ha traccia.

Finalmente la notizia del rientro a scuola è stata presentata con molta enfasi della Ministra Azzolina nei giorni immediatamente precedenti alle feste natalizie, a seguito dell’intesa governo-regioni firmato il 23 dicembre. Molto è stato investito, prevalentemente sul piano propagandistico, dalla Ministra e dal Presidente del Consiglio Conte, per rispondere alle richieste sempre più pressanti provenienti dal mondo della scuola e soprattutto da studenti e studentesse che tra novembre e dicembre hanno svolto, simbolicamente e in polemica con la didattica a distanza, le lezioni davanti alle proprie scuole. Come Rifondazione Comunista abbiamo sostenuto i movimenti che da mesi mettono al centro la scuola, per restituire la dignità attraverso investimenti in spazi, sicurezza, personale docente educativo tecnico ausiliario, e partecipato alle mobilitazioni che da settembre intendono dare “priorità alla scuola”, senza dimenticare la necessità di preservare, nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, la sicurezza di studenti e lavoratori della scuola anche ricorrendo in via eccezionale e temporanea a forme di didattica digitale a distanza.

Alla fine, nonostante le molte perplessità del CTS sulla possibilità di realizzare questo obiettivo con una ragionevole sicurezza allo stato attuale, immediatamente prima della pausa natalizia è comunque arrivata la notizia dell’accordo tra il governo e le regioni per il ritorno in classe di studenti e studentesse delle superiori, limitatamente al 50% della presenza, il 7 gennaio, mentre le scuole primarie e le scuole medie già svolgevano lezione in presenza già da prima della chiusura delle feste. A differenza del piano di rientro indicato nel DPCM del 3 dicembre, che prevedeva il 75% in presenza e il 25% in didattica digitale, l’accordo del 23 prevede un ritorno delle superiori al 50% in presenza, quota voluta prevalentemente dalle Regioni, soprattutto per poter gestire il flusso del trasporto locale che, al momento, non presenta potenziamenti significativamente diversi rispetto a quanto già messo in campo (molto poco) a settembre. C’è poco più di una settimana per riorganizzare la riapertura, soprattutto per una gestione del trasporto pubblico locale che consenta di evitare mezzi sovraffollati e con assembramenti pericolosi: l’articolo 146 della Legge di Bilancio mette a disposizione dei Comuni un fondo di 150 milioni di euro, mentre l’articolo 152 ne fornisce 200 alle Regioni, con la conferma della possibilità del 30% di sevizi aggiuntivi.

Tuttavia, nel mondo della scuola aleggia un misto tra scetticismo e rassegnazione, in quanto questa data e le modalità di rientro potrebbero essere nuovamente messe in discussione qualora le dinamiche di contagio si rivelassero in crescita dopo le festività: l’obiettivo principale resta quella del rientro nelle classi in sicurezza, per chi nelle scuole lavora e studia, attraverso l’adozione di tutte le disposizioni adeguate per ridurre contenere e contrastare i contagi. È abbastanza certo che i contagi avvengano prevalentemente fuori dalle scuole, in ambienti meno controllati o in cui non sono rispettate le regole del distanziamento, dell’igienizzazione, dell’utilizzo delle mascherine, perciò è necessario individuare le condizioni per raggiungere questo risultato: innanzitutto il rafforzamento delle strutture e l’assunzione di personale nei Dipartimenti di medicina territoriale, il monitoraggio e lo screening a tappeto di studenti docenti custodi tecnici e personale di segreteria.

Inoltre, uno dei nodi fondamentali è il potenziamento e lo scaglionamento dei mezzi pubblici, su cui si dovrebbero riunire tavoli nelle Prefetture con i soggetti preposti all’organizzazione scolastica (dirigenti scolastici, comuni, province, regione): pretendiamo di avere riscontro di questi incontri per capire quali siano i piani che verranno adottati per la gestione di questo delicatissimo settore.
La regione Toscana, per bocca del Presidente Giani e dell’assessore alla sanità Bezzini, ha annunciato il progetto in collaborazione con l’UPI, l’ANCI, l’ASL e l’USR definito “Scuole sicure”, con cui si dovrebbe avviare lo screening e il monitoraggio dei casi nelle scuole, interessando la fascia scolare tra 14 e 19 anni. Potrebbe sembrare una buona iniziativa, ma ci interroghiamo se questa impostazione sia efficace e soprattutto risponda alle esigenze effettive della popolazione scolastica e dei territori: in realtà, ci sembra che la priorità sarebbe quella di potenziare i Dipartimenti territoriali, che restano sguarniti di fronte alla cosiddetta seconda ondata, e che sono stati subissati già da metà ottobre impedendo il necessario tracciamento nelle scuole: essi saranno lo snodo strategico anche per le campagne di vaccinazione di massa che dalla seconda metà di gennaio dovranno interessare fasce sempre più ampie di popolazione, da aprile anche i lavoratori della scuola.

Il rafforzamento della medicina territoriale pubblica, che riporti al centro la prevenzione e sottragga ai privati l’intervento sussidiario, è un elemento strategico per la ripresa completa delle attività scolastiche: la scuola potrà veramente riaprire con margini di sicurezza accettabili solo se ci saranno investimenti massicci per gli spazi e i locali, i trasporti pubblici, e il controllo medico territoriale. Non è solo una questione specialistica: la scuola è un’istituzione democratica fondamentale, il baluardo della difesa costituzionale al diritto all’istruzione per tutte e tutti le/i cittadine/i, e per questo tutte le risorse della società devono concorrere a preservare e rilanciare la scuola pubblica anche in situazioni di eccezionalità come quella che stiamo attraversando.

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