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Secondo Adriano Sofri le prossime elezioni regionali toscane riprodurrebbero, certo in un contesto storico del tutto diverso, lo stesso meccanismo della crisi finale della Repubblica di Weimar. Aleggia insomma il fantasma del «social-fascismo», teorizzato, e praticato alle elezioni decisive per la democrazia tedesca, dal KPD. Oggi nei panni del KPD c’è la lista Toscana a Sinistra colpevole di non distinguere tra la socialdemocrazia di Giani ed il fascio-leghismo della Ceccardi.

Ora, sebbene il percorso politico di Giani (da Craxi a Renzi) non abbia nulla a che vedere con il riformisno socialdemocratico ma ne sia piuttosto il rovesciamento, coloro che hanno lavorato all’ipotesi politica di Toscana a Sinistra sanno benissimo operare per distinzioni. Sanno benissimo che è meglio essere governati da una sinistra-per-simmetria che da una destra avente in sé le pulsioni peggiori della storia italiana: dal richiamo senza infingimenti al «fascismo storico», alle nuove forme di esclusione.

Si tratta di differenze importanti, c’è, però, tra i due schieramenti un elemento comune che è un vero e proprio nodo strutturale. Tommaso Fattori nella sua risposta a Sofri ha messo in evidenza la sostanziale contiguità delle politiche economiche e dei loro derivati. Tutto facilmente verificabile nei fatti; ma ciò non è altro che la manifestazione operativa di una comune concezione del rapporto economia-società. Una concezione del tutto estranea a qualsiasi dimensione di pensiero critico dell’economia politica dominante, di fronte alla quale ci si limita a ripetere, solo con qualche variazione minore, l’antica affermazione della Thatcher: There is no alternative. Se non ci sono alternative la politica è solo la sfera della lotta per il «riconoscimento» e/o la continuazione degli affari con altri mezzi. In tale ambito l’unica scelta saggia è quello per il meno peggio, dunque convergenza di tutti i «progressisti (?)» con Giani contro Ceccardi.

Sofri è completamente interno alla logica del There is no alternative. E lo è dalla conclusione della sua esperienza «rivoluzionaria» giovanile. Paradigmatica è un’altra esperienza, quella, passati i quarant’anni, della professione giornalistica tramite il quotidiano «Reporter». Un quotidiano dalla vita breve (1985-86) ma fortemente indicativo dei movimenti tellurici in corso, degli smottamenti di ceto politico e intellettuale causati dal cosiddetto «riflusso». Il giornale, nato per iniziativa del vice Craxi, Martelli, finanziato dal Psi e con i deficit di gestione ripianati da Berlusconi, fu sostanzialmente affidato agli ex dirigenti di «Lotta continua». Interessanti sono i modelli ispiratori dei Deaglio, dei Sofri e degli altri ex: «Wall Street Journal» e «Libèration», ma soprattutto l’indicazione fondamentale sta in una dichiarazione del futuro direttore sulla questione chiave di quella primavera 1985: l’accesa campagna elettorale relativa al referendun abrogativo della legge sul taglio della scala mobile fortemente voluta da Craxi. «Scriveremo di non abrogare il decreto legge che ha tagliato i quattro punti di contingenza», affermò Deaglio. Non potrebbe esserci indicatore più evidente dell’avvenuta accettazione di quel processo di inversione della direzione che aveva portato il paese ad un grado più alto di democrazia economica e sociale.

Ed è in perfetta coerenza con con tutto ciò che le scelte del meno peggio appaiono l’unica manifestazione del realismo politico. Sono invece le vie impervie, e in questo momento difficilissime, della costruzione di forze intorno a progettualità di vero mutamento dell’esistente, a dare al termine «politica» il senso di una dignità perduta.

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