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Il Governo esplicita il suo orientamento di classe per compiacere l’incontentabile Confindustria.

In Toscana aumentano i contagi, arrivati a oltre 40mila casi , con un incremento di quasi oltre tremila nuovi positivi e 10 decessi nella giornata del 30 ottobre per un totale di 1320 da inizio pandemia. Le cifre sono durissime, mentre allarma l’aumento dei decessi nelle RSA a causa di un virus insidioso, letale con i più fragili. La pericolosa accelerazione delle ultime settimane aggrava le condizioni delle strutture territoriali e ospedaliere, da cui arrivano continui allarmi per una situazione sempre più drammatica. Si avvicina tumultuosamente il punto di rottura, se nei prossimi giorni con l’ulteriore aggravamento della situazione si satureranno i posti letto covid e le terapie intensive.

Nonostante i molti proclami e la propaganda di Enrico Rossi a sostegno della campagna elettorale di Giani, in questi mesi non sono stati adottati i provvedimenti necessari, conseguenti alle decisioni politiche assunte: i soldi stanziati, solo una parte minima dei 37 mld sottratti al Sistema Sanitario Nazionale, non sono stati evidentemente investiti nei settori fondamentali per affrontare la nuova ondata che fin dalla primavera era prevista. Mancano personale e strumenti (come i test rapidi) nel settore strategico per il contenimento del virus, cioè il servizio dei Dipartimenti di Prevenzione Territoriale delle ASL, dove invece si stanno verificando ritardi e disservizi dovuti ad una organizzazione insufficiente, anche per le deficienze della Regione, e ad un ritardo imperdonabile nel rafforzare la sanità territoriale.

Il governo guidato da Conte è entrato in una fase di fibrillazione, evidenziato dallo scontro interno delle componenti della maggioranza che sta portando a contraddizioni e scelte ambigue, creando una paralisi decisionale scaricata su alcune componenti sociali in grande sofferenza.

Il nuovo DPCM è la fotografia di questa situazione: la chiusura improvvisa, con un lockdown selettivo mirato sui settori della ristorazione, dello spettacolo e dei teatri, dei circoli ricreativi e delle palestre, piscine – probabilmente i luoghi tra i più controllati del paese – è una scelta di depistaggio per evitare di riconoscere il fallimento nella gestione dei trasporti pubblici (principale ambito di contagio, con le migliaia di persone che si muovono ogni giorno per raggiungere le scuole e soprattutto i luoghi di lavoro).

È una scelta per andare incontro alle richieste di Confindustria, che non solo non vuole un nuovo lockdown generalizzato, ma preme perché venga rimosso il blocco dei licenziamenti il prima possibile per consentire alle aziende di ristrutturare e riprendere a fare profitti rientrando in un mercato con sempre più grandi squilibri causati dalla pandemia.

L’obiettivo di preservare il lavoro e la scuola è solo un paravento per nascondere la finalità di salvaguardare i profitti delle aziende con maggiore peso politico. Tuttavia, le scuole sono il collettore di contagi avvenuti in altre situazioni (innanzitutto sui mezzi di trasporto), mentre il lavoro (i lavoratori) non è per niente protetto: l’INAIL ha rilevato che oltre il 17% dei contagi nazionali (oltre 54mila a fine settembre) è avvenuto sui luoghi d lavoro, ed è evidente che – al netto delle professioni sanitarie – in troppe situazioni (manifatturiero: industria alimentare, chimica e farmaceutica, logistica, stampa, pulizie, vigilanza, call center) i protocolli non sono applicati correttamente.

La chiusura di bar e ristoranti alle sei del pomeriggio non inciderà significativamente sull’andamento della curva, ma serve ad assecondare la linea dura del Presidente di Confindustria Bonomi.

Il nuovo DPCM è dettato dagli interessi confindustriali e colpisce le componenti più fragili del lavoro, dove la precarietà è altissima e vigono contratti stagionali non garantiti. Al contempo mancano del tutto le coperture per ammortizzare la perdita di reddito di questi lavoratori: una patrimoniale e un’imposizione fiscale a tutte le aziende che hanno continuato a fare profitti sono provvedimenti più che mai urgenti, per correggere la linea politica troppo accondiscendente verso il padronato, come attestato dalla rimozione del blocco dei licenziamenti emessa con il precedente DPCM del 13 ottobre.

Non si può accettare che la Confindustria approfitti dell’epidemia per stravolgere la contrattazione nazionale o per puntare a ridurre a livelli minimi i salari, invece di discutere della riduzione di orario a parità di salario che potrebbe ridurre la pressione negli spostamenti e decongestionerebbe i mezzi pubblici. Inoltre, si colpiscono attività che non hanno responsabilità maggiori di altre nella diffusione del contagio, per coprire le inadempienze macroscopiche in settori che sono diretta responsabilità delle istituzioni pubbliche (dallo Stato alle Regioni, agli Enti Locali), innanzitutto i trasporti.

La difesa dei salari e dell’occupazione è il primo obiettivo per migliaia di lavoratori, insieme al contenimento ed il contrasto del virus: un provvedimento veramente significativo sul piano nazionale potrebbe essere quello di un prelievo forzoso sui grandi patrimoni per finanziare gli ammortizzatori sociali (FIS e casse integrazioni) e provvedimenti di sostegno al reddito per tutti coloro che non hanno un introito stabile.

Anche sul piano regionale, occorre che ci siano dei cambiamenti necessari: il nuovo Presidente della Regione Giani, assediato dagli appetiti per la spartizione degli assessorati, i Sindaci e i Presidenti delle Province si assumano le proprie responsabilità e aprano una consultazione con i sindacati e tutte le forze politiche per individuare gli strumenti più efficaci a sostenere i lavoratori colpiti dall’ultimo DPCM.

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