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L’emergenza Covid19 sta segnando un evento epocale nelle nostre vite; le sue conseguenze sanitarie, sociali ed economiche si sono abbattute dall’oggi al domani con una violenza inaudita nei nostri territori, sulle nostre Comunità, segnando lutti, generando ansie e paure.

Gli effetti del covid19 sono deflagrati in un Paese già duramente provato da anni di crisi economica e sociale e progressivamente depauperato delle misure e risorse finanziarie necessarie a fronteggiare le gravi forme di povertà emergenti: la popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale è pari al 27,3% (circa 16 milioni e 400mila individui – Fonte ISTAT). L’ultimo Annuario Statistico Italiano 2019, messo a disposizione dall’Istat sul proprio portale, certifica che in Italia le famiglie in condizione di povertà assoluta sono un milione 822 mila (7,0 per cento), per un totale di oltre 5 milioni di individui poveri.

Tutto ciò in una panoramica nazionale “pre covid 19” che ha sostanzialmente certificato l’incapacità degli strumenti di ammortizzazione sociale quale il Reddito di cittadinanza di “cancellare la povertà” (come direbbe qualcuno). Il RdC infatti è una misura fortemente condizionata dagli aspetti di reinserimento lavorativo, ma che trascura il fatto ormai acclarato che la povertà non sia solo quella lavorativa bensì anche quella educativa, sanitaria, relazionale, abitativa. Già a suo tempo come CNCA dicemmo con forza che solo affrontando questi diversi tipi di povertà con un approccio multidisciplinare (come si tentò di fare con il REI, ma all’epoca con risorse di gran lunga inferiori ed inadeguate) era forse possibile contrastare questo fenomeno in modo serio, duraturo ma soprattutto in forma non assistenzialistica, senza generare aspettative clamorosamente smentite nei fatti: un report dell’Anpal del dicembre scorso certificava infatti che “ad oggi sono 28.763 le persone che hanno avuto un contratto di lavoro dopo aver ottenuto il RdC”, ovvero il 3,63% degli “occupabili” corrispondenti a 791.351 persone su 1,77 milioni di nuclei familiari che hanno avuto accesso al RdC.

In questo quadro, già di per sé desolante, mancano tutti i dati del cosiddetto “sommerso”, ovvero coloro che non avendo strumenti di tracciabilità come la residenza anagrafica, la tessera sanitaria, la dichiarazione Isee non rientrano minimamente nel computo delle statistiche di cui sopra, andando quindi ad aumentare di gran lunga la moltitudine delle persone in povertà assoluta e la forbice delle disuguaglianze sociali. Il lockdown ha così aggiunto danno al danno, perché alle persone già in stato di grave marginalità, che non possono più attingere a tutti quegli espedienti che consentono loro di vivere alla giornata, si sono aggiunte altre categorie di individui che mai si sarebbero immaginati di finire in strada: i liberi professionisti, i piccoli commercianti, le partite iva, gli stagionali, intere famiglie monoreddito cadute in disgrazia in un soffio. I dati della Caritas certificano infatti che “il numero dei poveri che sono costretti a rivolgersi ai Centri di ascolto e ai servizi delle Caritas diocesane è aumentato in media del 114% rispetto al periodo precedente il coronavirus (fonte Vatican news)” .

Tanti di noi, educatori ed operatori sociali delle 260 organizzazioni non profit aderenti al CNCA si sono ritrovati improvvisamente sguarniti di risorse e pensieri predittivi in grado di governare e fronteggiare al meglio ciò che stava accadendo con le persone più fragili e vulnerabili: nei luoghi delle marginalità estreme, nelle strutture di accoglienza, con gli anziani, i minori, gli immigrati. Dopo un primo momento di disorientamento, abbiamo cercato di attingere al meglio dai nostri vecchi attrezzi del mestiere, proprio perché abituati da sempre a fare tanto con poco, ad ottimizzare i tempi e i modi del lavoro; abbiamo studiato i vari Dpcm, le ordinanze regionali e comunali, le circolari, ci siamo rimboccati le maniche ed abbiamo trovato e proposto le nostre soluzioni con concretezza, a volte con creatività e fantasia. Tutto questo anche in un momento in cui la vicinanza delle parole e dei gesti deve essere praticata a distanza, in cui la fisicità di una relazione di aiuto deve passare attraverso il filtro di una mascherina o di un plexiglass. Il Terzo Settore, infatti, può e deve giocare un ruolo strategico fondamentale per la tenuta e ripartenza del sistema Paese.

Il saper riconoscere e praticare il valore aggiunto della coesione sociale, della solidarietà, dell’aiuto reciproco è una qualità dirimente in questa fase di ricostruzione. Noi “del sociale” siamo chiamati forse alla sfida più importante e decisiva della nostra storia: riconnettere tessuti relazionali spezzati, aprire a nuove speranze nelle persone creando diverse opportunità di lavoro, ricostruendo percorsi interrotti e/o falliti, generare ricchezza che può esser riconvertita in risorse e nuove opportunità per gli individui e le famiglie. Niente sarà più come prima, ma siamo sicuri che la normalità che vivevamo fosse la via migliore per creare diritti e giustizia sociale per tutti? Se penso al come ne usciremo, la percezione è che forse riusciremo a farlo solo a costo di lasciarci alle spalle le vecchie categorie di pensiero sul lavoro sociale, sul concetto stesso del “prendersi cura”, sui nostri strumenti pedagogico educativi, spesso standardizzati.

Questa crisi forse ci sta fornendo spiragli di visioni future in cui poter rafforzare nuove forme di economia sociale, che già come Terzo Settore stavamo timidamente sperimentando: forme di economia circolare, solidale, trasformativa in cui si riesca a recuperare e valorizzare appieno le risorse e capacità di coloro che sono rimasti più indietro, in cui si valorizzino gli scarti delle produzioni che la globalizzazione ha gettato via per riportarli a nuova vita e a un nuovo utilizzo, generando nuovo valore economico e sociale. Questa pandemia ci insegnerà forse a riprendere e valorizzare quel pensiero strabico e non convenzionale che ha guidato i fondatori del mondo non profit, dei sognatori ma con i piedi ben piantati nel fango. Le conseguenze negative portate dal covid19 certamente non potranno sparire nel breve periodo, ci vorrà tempo e resilienza, ma forse potranno essere contenute ed ammortizzate se anche noi, come operatori con un DNA votato alla prossimità ed alla mediazione del conflitto, riusciremo a rimetterci in pista con un nostro ruolo di riferimento finalmente riconosciuto nei territori in cui operiamo, rispetto alle Istituzioni, alla popolazione, ai media.

Il valore generativo del Terzo Settore è un qualcosa di cui si è molto parlato ma che forse, dopo questa immane catastrofe, si potrà finalmente svelare se la Società e le Istituzioni ne riconosceranno l’enorme portata ancora tutta da esprimere. La normalità verrà riacquistata in modo incerto, con deboli tentativi, passi falsi e possibili ricadute, ma anche con nuovi e diversi modelli e pratiche di lavoro sociale sul campo, dove il rafforzamento del welfare ed il sostegno alle categorie fragili dovranno andare di pari passo con l’innovazione sociale, la tecnologia e nuove forme di sviluppo sostenibile.

Fabrizio Mariani è Presidente del CNCA (coordinamento nazionale comunità di accoglienza) della Toscana

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