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In questi giorni si è rimessa in moto la scuola, congelata per mesi nella modalità “a distanza” che ha sospeso le relazioni e il dialogo educativo tra docenti e studenti, rappreso la socialità tra bambini/e, ragazzi/e, adolescenti che sono nell’età in cui la crescita culturale e la formazione come cittadini/e passa dalla relazione di gruppo.

Si stanno moltiplicando le iniziative e le manifestazioni promosse da comitati di genitori, da sigle sindacali di base (Cobas Scuola, USB), da associazioni educative, fino ad uno sciopero lunedì 8 di CGIL, CISL, UIL, SNALS, GILDA (che da anni avevano rinunciato a questo strumento di lotta): la richiesta fondamentale è quella che si ripristini il processo educativo e dell’istruzione restituendo alla scuola pubblica la centralità che è stata compressa in questo periodo. Perciò, occorre che siano fatti investimenti per rendere sicure le scuole, anche sul piano sanitario, per un necessario rientro a settembre: in questo, il governo Conte (come in molti altri settori) risulta incapace di prendere decisioni di rottura con un andazzo che in vent’anni ha semidistrutto il sistema dell’istruzione pubblica, tagliando miliardi e miliardi (lo hanno fatto sia i governi di destra che di centrosinistra) e concedendo sempre più finanziamenti (diretti o indiretti) agli istituti privati prevalentemente cattolici (l’ultimo provvedimento indica tra i 120 e i 150 milioni in più!).

In questi mesi si sono palesate tutte le contraddizioni della scuola: la DAD (didattica a distanza), necessaria a mantenere un filo con gli studenti delle varie scuole in una situazione di emergenza, ha però mostrato molteplici limiti denunciati ripetutamente, ma che alcuni ancora non hanno compreso o ignorano volutamente: l’accesso ai mezzi è palesemente selettivo e, in questi tre mesi, la scuola “a distanza” ha provocato abbandono, senso di frustrazione, sindromi depressive e moti altri effetti che scopriremo nei prossime settimane.

Che la digitalizzazione sia altamente discriminante è ormai palese: per quanto riguarda il lato tecnico, non tutte le famiglie dispongono di dispositivi e connessioni adeguate, non tutti hanno a disposizione computer personali perché nella maggior parte dei casi devono dividerseli con fratelli sorelle o genitori, spesso bambini delle primarie (elementari) o medie di primo grado (medie) non riescono autonomamente ad accedere e a seguire le lezioni: questo problema non può risolversi semplicemente con le dotazioni che le scuole hanno messo e metteranno a disposizione, perché viene rimossa l’origine della diseguaglianza che è emersa in questo periodo eccezionale, che non può diventare l’ordinario.

Ai problemi “tecnici”, vanno aggiunte le ben più pesanti e insidiose (seppure più nascoste) distorsioni sul piano educativo, pedagogico e didattico: dopo decenni di ricerca di metodologie di apprendimento non più basate sulla trasmissione da docente a discente dei contenuti, ma su attività di carattere laboratoriale, finalizzate a consentire l’avvicinamento alle conoscenze attraverso il coinvolgimento degli studenti, la didattica on-line ha provocato una inevitabile comunicazione a senso unico; non solo, ma l’essenziale socialità che permette di determinare una collaborazione nell’apprendimento, una delle componenti più importanti dell’educazione, è stata messa a repentaglio dall’isolamento di milioni tra bambini, bambine, ragazzi e ragazze nelle loro case, con conseguenze pesantissime anche nella gestione del lavoro e dell’applicazione nello studio.

A fronte di questa situazione disperata, che ripetiamo essere stata determinata dall’eccezionalità della situazione epidemiologica, dunque inevitabile, vi sono state dichiarazioni della Ministra Azzolina, così come di molti dirigenti scolastici e docenti, che hanno esaltato la Didattica a Distanza come una sorta di panacea che finalmente avrebbe allineato l’Italia all’Europa, con un salto tecnologico e di mentalità che non sarebbe potuto avvenire altrimenti. Nei primi giorni, soprattutto, la DAD è stata presentata come uno strumento essenziale per una crescita culturale delle nuove generazioni, finalmente messe davanti alla digitalizzazione dell’apprendimento e, in prospettiva, del lavoro. A questi cori si sono uniti quelli delle aziende e della Confindustria, che ha iniziato a lodare il telelavoro e lo smart-working, prefigurando la possibilità di smistare percentuali sempre crescenti di lavoratori fuori delle aziende in modo da risparmiare in strutture e costi di produzione, e scaricare sui lavoratori stessi una serie di pagamenti (bollette dell’energia elettica, strumenti digitali computer, riscaldamento…): può sembrare il conto della serva, ma molte aziende ragionano effettivamente così.

Niente di meglio, dunque, che iniziare ad addestrare le giovani generazioni a questo regime di solitudine, isolamento, frammentazione sociale e lavorativa. Tuttavia, come si è evidenziato nel giro di poche settimane, questa strada non è per niente virtuosa, né per i docenti, né per gli studenti, né per le famiglie: la fatica della connessione e del lavoro davanti allo schermo, anche se può apparire minima rispetto a chi in questi mesi ha attraversato i rischi della contaminazione negli ospedali o in luoghi di lavoro rimasti aperti continuamente, deve essere considerata, perché se rappresenta un rischio necessario di fronte all’eccezionalità, diviene intollerabile se questa modalità viene teorizzata come ordinaria. Per questo, è molto insidioso, come propongono alcuni, di regolarizzare, cioè contrattualizzare, la DAD, poiché il rischio è che diventi una metodologia ordinaria e non rimanga confinata nella straordinarietà che abbiamo vissuto.

Quello che invece sarà necessario nei prossimi mesi, ma soprattutto anni, sono investimenti massicci nelle strutture scolastiche, nell’edilizia, in aule e locali nuovi che siano sicuri e accoglienti per la sicurezza e per la salute, che permettano classi più piccole come numero di studenti, che consentano insegnamento ed apprendimento sereni. I soldi stanziati per le reti digitali sono utili, ma non sostituiscono la necessità che gli edifici e le aule siano ristrutturate, riorganizzate e gli spazi ridefiniti per una adeguata abitabilità nelle mote ore che studenti e docenti e personale ATA vivono a scuola.

Occorre veramente un grande impegno per un piano di riqualificazione, che auspichiamo non solo annunciato dalla Ministra Azzolina, con il coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali che dovranno individuare e ridefinire spazi nonché investire risorse per avviare una riqualificazione delle scuole pubbliche nei territori, per evitare che i principi costituzionali sulla formazione e sull’istruzione pubblica vengano definitivamente stravolti, aprendo alla svendita e alla privatizzazione del nostro patrimonio culturale.

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